Qualche tempo fa ho scritto questa lettera che parla dell’importanza dei no nella comunicazione. Evidentemente la questione mi stava molto cara perché subito dopo ho acquistato il libro di Jenny Odell, un’artista americana della mia età, che ha un titolo incredibile: How to Do Nothing. Il sottotitolo va a definire i bordi di cosa vuol dire “fare nulla” ovvero: resistere all’economia dell’attenzione.

Benvenuti nell’economia dell’attenzione

Attention economy è un concetto che l’economista americano Herbert Simon aveva iniziato a plasmare negli anni ’70 per raccontare come la ricchezza di informazione consumasse l’attenzione dei destinatari.

Proviamo a pensarci. La continua produzione di contenuti e l’abbondanza stordente di intrattenimento e aggiornamenti hanno come effetto simultaneo sia un deficit dell’attenzione sia un bisogno (ma chiamiamola pure illusione) di allocare l’attenzione in modo produttivo, performante, magari monetizzabile. Questo dà vita a una logica viziata che premia la crescita (“sempre di più!”) e il nuovo (“crea qualcosa di originale!”) e nutre la FOMO, la Fear of Missing Out.

Figlia dei nostri tempi, la FOMO è una specie di ansia di “stare sul pezzo” che i social network hanno acuito ad arte con la loro frenesia costante e con titoli sensazionalistici e slogan di pancia. A corredo di tutto ciò, la mancanza assoluta di contesto temporale e spaziale e l’incapacità di elaborazione. Come canta St. Vincent in Digital Witness: Testimoni digitali, che senso ha dormire / Se non posso mostrarlo, se non puoi vedermi / Che senso ha fare qualunque cosa?.

C’è un altro mondo ma è in questo

How to Do Nothing è tutto fuorché un manuale di digital detox. Anzi: parte dalla premessa che nessuno di noi può vivere come un eremita. Chiudere gli account social e vivere nella mindfulness (ambito anch’esso monetizzato a dismisura da molte app) non è il punto.

La questione non è se vale la pena essere parte di questo mondo, piuttosto come esserne parte. L’adozione di un atteggiamento critico, consapevole e vigile e la riappropriazione degli spazi personali, fisici o digitali, sono la via da perseguire. In un mondo che basa la sua narrazione sull’efficienza, non fare nulla è un atto di resistenza politico che si produce in azioni significative ma non necessariamente produttive.

Jenny Odell propone di creare un terzo spazio che non presupponga come soluzioni a ogni questione un sì o una no. Uno spazio per coltivare altre forme di attenzione, per l’ascolto, la riflessione, l’incubazione delle idee. Uno spazio per andare oltre se stessi e i giudizi di merito. Per intessere relazioni, aprirsi al nuovo con volontà e disciplina, riconnettersi con il mondo della natura (prima che sia troppo tardi) e con i suoi tempi. Come diceva il poeta francese Paul Éluard, “c’è un altro mondo ma è in questo”. Sta a noi riscoprirlo.

Un altro mondo verde (e laterale)

Nel 1975 Brian Eno crea un mazzo di carte dal nome Strategie Oblique, una serie di aforismi per aiutare ogni creativo o musicista a uscire da un momento di empasse e a rompere i blocchi mentali.

Le carte promuovono il cosiddetto “pensiero laterale” che predilige la natura intuitiva e indiretta dell’interpretazione del mondo rispetto a una visione ingabbiata e predefinita. Mi piace pensare al libro di Jenny Odell proprio come a strategia obliqua, un nuovo percorso di senso, un sollecito all’immaginazione.

Nel libro non viene fornita la soluzione per non fare nulla, ma viene mostrata l’esistenza di un modo alternativo. Sembra un paradosso, eppure per riprendere il controllo della narrazione basta pescare da un mazzo di carte e fare nostra una suggestione sibillina. Che ci dice qualcosa che già sappiamo e che è dentro di noi, che è fuori dalla nostra filter bubble e che si trova solo nella natura, nell’osservazione del mondo, dei suoi abitanti e delle sue dinamiche.

Per Jenny Odell è il parco il luogo estraneo per antonomasia all’economia dell’attenzione: “Farsi strada in un mondo di fioriture, decomposizioni, infiltrazioni, di milioni di creature striscianti, di spore, di filamenti di funghi che paiono fatti di pizzo, di minerali che reagiscono e di cose che vengono erose – tutto questo dall’altra parte di una rete di ferro”.

Un epilogo, anzi due. Sempre nel 1975 Brian Eno pubblica un album dal titolo Another Green World. Una delle carte delle Strategie Oblique recita così: “Go outside. Shut the door”.

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