Manuale di conversazione per un designer (e per tutti gli altri)

design della conversazione

Tra i miei podcast preferiti ce n’è uno con un titolo che è tutto un programma. Si chiama “Conversations with People who Hate Me”: 30 minuti di chiacchiere tra l’host, lo YouTuber, scrittore e attore Dylan Marron, e un hater che gli ha scritto un commento carico di astio.

Il titolo può di primo acchito far sfregare le mani e far preparare la ciotolona di pop-corn, quella che si evoca quando si assiste a un dibattito su Facebook o una polemichetta su Twitter. Eppure a una seconda lettura del titolo, corroborata dall’ascolto delle puntate, gli ascoltatori capiscono che quello che accade tra l’odiato e l’odiatore non è altro che un ricchissimo, umano, profondo confronto. In una parola, come il titolo già dichiara: una conversazione.

La conversazione è l’interfaccia più vecchia che c’è

Erika Hall, figura di riferimento per chi si occupa di User Experience e sostenitrice dell’andante “Design with Words”, ha scritto un libro dal titolo “Conversational Design”. Tutto nasce da un paradosso: stiamo assistendo a rinascimento della conversazione con SMS, chatbot e assistenti vocali eppure le interfacce che appaiono conversazionali solo in teoria, non lo sono mai in pratica.

Erika Hall fa un passo indietro e racconta di come la conversazione è l’interfaccia più vecchia di sempre, quella che per millenni ci ha fatto interagire. La chiave per rendere i sistemi digitali più semplici, intuitivi, di valore e dotati di senso è abbracciare in modo profondo e human-centered i principi di una buona conversazione.

Conversare vuol dire portare avanti e nutrire un’attività basata sul contesto, sull’immediatezza e sulla socialità, elementi che ci aiutano a definire quella seconda oralità che Walter Ong riscontrava con la nascita di Internet: una comunicazione a distanza ravvicinata, presente, simultanea, conversazionale, collaborativa e intertestuale. Proprio le migliori qualità che dovrebbe avere il design di uno strumento digitale.

I principi e i momenti del design della conversazione

Pensare alle interazioni tra umano e computer dalla prospettiva di uno schermo non hai messo davvero al centro l’essere umano. L’interfaccia ideale è quella che non percepiamo: un mondo in cui la distanza tra pensiero e azione non esiste più – semplicemente pronunciando una frase. – Erika Hall

Secondo Erika Hall l’interazione e lo scambio di informazioni tra interfacce ed essere umano deve essere mediata da cinque principi: quantità (dare informazioni quanto basta per soddisfare la domanda altrui), qualità (trasmettere informazioni autentiche, supportate da prove), relazione (stabilire una connessione che consideri anche il contesto), modo (arrivare al punto secondo una logica e senza ambiguità) e gentilezza (mostrare rispetto per l’altro e creare una bella sensazione).

Questi principi devono ovviamente abbracciare i concetti cardine della seconda oralità e considerare che un’interazione efficace accade quando entrambe le parti incontrano i loro obiettivi in modo piacevole e naturale. In assenza di obiettivi, infatti, è impossibile progettare.

Traducendo i principi in momenti di interazione tra un sistema digitale e un utente, assistiamo in ordine a queste quattro fasi:

  • introduzione, indispensabile per stabilire l’identità, sollevare interesse, comunicare valori, creare una prima connessione, costruire fiducia;
  • orientamento, ovvero la fase di presentazione, in un perimetro predefinito a mo’ di mappa, delle possibilità di azione e delle scelte verso un obiettivo;
  • azione, una sequenza di informazioni precise che inquadrano, incoraggiano, istruiscono e ragguagliano sulle conseguenze che avrà l’azione;
  • guida, ovvero il momento di supporto e del sistema affinché l’utente porti a termine l’azione con successo, nel modo più liscio e memorabile possibile.

Empatia e ascolto. Ripartiamo da qui.

Dylan Marron racconta, durante una conferenza TED, che l’ingrediente fondamentale per far funzionare il suo podcast “Conversations with People who Hate Me” è l’empatia.

Fare un passo verso l’interlocutore, cercare di rintracciare l’umano, gettare le fondamenta di una conversazione sulla comprensione: ecco il ruolo del designer, del copywriter, di chi sta alla regia dei contenuti e da quella cabina ordina di fare un piccolo zoom indietro che comprenda tutto il paesaggio e una visione più ampia.

Scrive John Maeda: i designer non dovrebbero essere storyteller ma story-listeners che si prendono il tempo e l’energia per ascoltare le storie degli altri.

L’essenza della conversazione è questo: persone che si ascoltano e che, a turno, dialogano. Affinché il designer abbia come obiettivo di ciò che fa la realtà, dovrebbe ispirarsi a persone reali, sentimenti reali, conversazioni reali. Se progettate bene, le interfacce conversazionali possono amplificare il legame e la fiducia tra computer e umano.

Facciamo così. Dalla prossima volta per ogni testo che progetterai in un’interfaccia, chiediti se lo diresti all’interno di una conversazione. Ti lasciamo con questa prova del nove, sicuro che farai tesoro del nostro consiglio.

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